Silenzio in rete

There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about.

O. Wilde – The Picture of Dorian Grey

La sera del 24 marzo 1994 stavo seguendo gli esiti delle elezioni politiche in tv. Dopo aver capito come sarebbe andata a finire, per niente contento dei risultati, decisi di fare un gesto di ribellione: tolsi dalla sintonia del mio televisore i canali Mediaset. Non se ne accorse nessuno, ovviamente; quasi non me ne accorsi neppure io, comunque quei canali non li guardavo quasi mai. Eppure, se almeno una parte degli italiani che condividevano il mio stesso sentire avesse fatto la stessa cosa, probabilmente la storia dei venti anni successivi nel nostro paese sarebbe stata diversa.

Il boicottaggio è un’arma formidabile. I governi lo usano nelle loro piccole e grandi guerre commerciali, anche se si guardano bene dal legittimarlo come strumento di lotta nelle mani dei cittadini. La ragione è facile da capire: in un mondo in cui tutto dipende dai soldi, rifiutarsi di comprare i prodotti dal proprio nemico diventa il modo più efficace per combatterlo. E non è necessario essere maggioranza per avere un peso: anche una flessione di pochi punti nel bilancio di un’azienda o di un paese può avere conseguenze catastrofiche. Così un gruppo di pressione motivato e ben organizzato, purché sufficientemente numeroso, può mettere in crisi entità potenti come multinazionali e stati. In paesi con una coscienza civile e democratica più forte della nostra, penso ad esempio alla Francia o agli USA, queste azioni si fanno sentire e qualche volta riescono a cambiare il corso delle cose.

Però il boicottaggio costa fatica. Bisogna cambiare abitudini, fare rinunce. A volte c’è anche un costo economico: si spende di più (almeno apparentemente) per ottenere prodotti o servizi equivalenti, evitando di comprarli dai fornitori di cui non approviamo le politiche. E poi bisogna tenersi informati, scegliere, cercare. Si vota quando si fa la spesa, diceva qualcuno, ma che fatica! Certo è molto meno faticoso uscire una domenica, ogni qualche anno, per mettere una croce su un pezzo di carta. Anche se fatto con poca convinzione e quasi nessuna consapevolezza ci fa sentire a posto con la nostra coscienza democratica. Il fatto è che esercitare davvero la democrazia è un processo molto impegnativo e in pochi ne hanno davvero voglia. In fondo mi è costato molto poco togliere quei canali dalla mia tv, intanto non li guardavo. Se penso a tutte le altre cose che non ho mai fatto per cambiare qualcosa, nel mio piccolo, probabilmente non sono meglio di tutti gli altri.

Quel che mi chiedo a questo punto è se sia possibile avere un ruolo limitandosi a non fare. Anche non fare richiede rinunce e cambi di abitudini, ma è meno faticoso e per niente costoso. E forse perfino salutare. Per esempio: in un mondo in cui tutto poggia sull’immagine, negare la nostra attenzione alle persone che ci risultano sgradite è una forma efficace di boicottaggio. Influencer, opinion leader, tuttologi, sputasentenze e politici di turno che imperversano su schermi grandi e piccoli e inondano la rete di tweet, foto, video e storie, squallide manifestazioni di incultura dilagante a cui siamo esposti quotidianamente, nostro malgrado. Si nutrono della nostra attenzione e delle nostre reazioni. Ne hanno bisogno come l’aria. Non importa che siano reazioni positive, purché ci siano. Abbiamo un solo modo per difenderci: ignorarli, rifiutarci di vedere e ascoltare le cose che li riguardano, soprattutto evitare di commentare. Abbiamo imparato chi sono, sappiamo che non ci piacciono, ora tagliamoli fuori dalle nostre vite. Parliamo con chi ci piace e di chi ci piace; accettiamo il confronto con chi stimiamo, anche se la pensa diversamente da noi. Ma spegniamo questo rumore di fondo, smettiamo di legittimare i cialtroni. Ognuno scelga i propri bersagli. E poi li lasci soli coi loro tristi eserciti di follower.

Lascia un commento